Estratto da un testo testo di Paolo Pejrone
Ripensare un giardino non vuol dire per forza capovolgerlo: secoli di sapere giardiniero e paesaggistico hanno infatti plasmato l’area dei Giardini Reali con lungimiranza e intelligenza e, nonostante alcune fatiscenti superfetazioni e il sopraggiunto degrado, quell’assetto era ancora ben percepibile.
La fondatezza dell’intuizione convintamente conservativa è emersa non appena il bunker, che tagliava in due il giardino, è stato demolito: di colpo le visuali si sono aperte e il luogo ha recuperato tutta la sua originaria armonia. Dopodiché sono stati necessari interventi strutturali: dal riallineamento dei perimetri di alcuni parterres e il rifacimento dell’impianto di canalizzazione delle acque e dei sottoservizi, alla rimozione dei manufatti inadeguati che nel tempo si erano permessi di interferire con l’originaria struttura.
Viceversa, il repertorio vegetale dei vecchi giardini è apparso fin da subito bisognoso di ben più consistenti ripensamenti. La condizione deteriorata del sito imponeva un intervento deciso e non ammetteva continuità se non in pochi e puntuali, ancorché fondamentali, ambiti: le masse compatte di allori, pittosfori, euonymus ed eleagni, sane e ben formate, a creare una specie di duna vegetale contro i venti e la salsedine della laguna; i vecchi esemplari di pitosforo che crescevano isolati nelle aiuole; alcuni alberi ancora in buono stato vegetativo, come il grande bagolaro (Celtis australis), o le sofore del Giappone (Sophora japonica), che hanno poi ispirato la componente d’alto fusto del progetto. Esemplari arborei vetusti e palesemente provati, come l’albero di Giuda (Cercis siliquastrum) che fa da sentinella all’ingresso o la robinia (Robinia pseudoacacia) che oggi spunta tra i bambù, sono stati mantenuti in omaggio alla storia del luogo. Tutto ciò che si poteva è stato rispettato e protetto, anche a scapito del rigore del disegno.
La grande pergola, che costituisce l’elemento centrale della composizione ed è una presenza tipica nei giardini di matrice asburgica, è stata rivestita con numerose varietà di Wisteria sinensis e di Wisteria floribunda e, all’intersecarsi della pergola con il viale ortogonale che porta al ponte levatoio e alle estremità della stessa, con folti cespi di Bignonia ricasoliana “Contessa Sara” a fioritura rosa tardo-estiva e autunnale.
Nei quattro parterre centrali, quelli che costeggiano il viale di ingresso, sono state piantate grandi macchie di Agapanthus umbellatus e di imponenti Agapanthus “Queen Mum”, di Farfugium japonicum e di iris della Dalmazia (Iris dalmatica) e di Firenze (Iris florentina), tutti a foglia sempreverde, che racchiudono al loro centro un piccolo boschetto di Tetrapanax papyrifer, con le sue enormi e vellutate foglie tra il verde e il grigio, e alcune piante di rosa.
Tutt’intorno le restanti otto aiuole riprendono il tema di fondo del bordo di agapanti e farfugium, che lascia il posto, man mano che sopraggiungono le prime ombre delle sofore, a gruppi di mirti (Myrtus communis) e di Hydrangea paniculata. A lambire la lunga pergola sono stati previsti dei gruppi di Hydrangea arborescens “Annabelle”, capaci di filtrare con leggerezza il percorso ombreggiato dal resto del giardino, rendendo lo spazio più intimo e suggestivo. Al piede, a riempire i bordi del camminamento, Liriope muscari e Ruscus racemosus creano un soffice e fresco tappeto sempreverde.
Al centro dei suddetti parterre Sophora japonica, albero caducifoglie che raggiunge dimensioni anche notevoli, con chiome aperte e leggere, ideali per gli obbiettivi perseguiti. La scelta di tale specie segue un criterio filologico, essendone già presenti nei Giardini vetusti esemplari. In questo modo è stato possibile ottenere una componente arborea omogenea, di notevole impatto sia per il fogliame chiaro e leggero, e le accese colorazioni autunnali, sia per le estive e copiose fioriture bianche, perfettamente integrata con il contesto e con la sua storia a testimonianza del ricco passato botanico del giardino e della sua apertura verso l’Oriente. Nelle aiuole più laterali altri esemplari di Clerodendrum trichotomum completano la composizione.
Per quanto riguarda ancora l’alto fusto, nel corso dell’esecuzione del cantiere e man mano che i nuovi spazi s’andavano profilando nella loro realtà definitiva, sono stati aggiunti al progetto originario due canfore (Cinnamomum camphora) e due Pterocarya fraxinifolia.
Lungo la balconata che si affaccia sul rio dei Giardini, in modo da accentuare l’idea di un confine verde che circonda il giardino, proteggendolo e conferendogli unità, sono stati collocati dei grandi vasi in terracotta piantati a melograni, fichi, giuggioli, viburni lucidi, Feijoa (Acca sellowiana) e aranci amari, a testimonianza simbolica degli antichi vasi di agrumi che un tempo erano coltivati in quel di Stra e portati ogni anno via acqua fino ai Giardini Reali di Venezia con la bella stagione.
Ai Giardini Reali di Venezia va oggi il merito di avere, tra i primi, coniugato forme tradizionali con contenuti finora non visti, di avere riflettuto sul modello classico del parterre confermandolo, ma al contempo modernizzandolo e rendendolo attuale, tentando di superare l’annosa dicotomia tra giardino formale e informale, bilanciando il senso delle geometrie con l’esuberanza di una vegetazione erbacea e arbustiva insolita, irregolare e soprattutto, data la rusticità e robustezza delle piante scelte, sostenibile.